Napoli pullula di luoghi a metà strada tra il sacro e il profano, come il Cimitero delle Fontanelle e le Catacombe di San Gaudioso ma, sicuramente, uno dei posti più macabri e misteriosi è la Chiesa di Santa Maria Delle Anime del Purgatorio ad Arco.
Situata nel cuore del centro storico, a via dei Tribunali, fu eretta nel 1616, per volere di alcune nobili famiglie napoletane, che vollero realizzarla per fornire un degno luogo di sepoltura ai poveri della città; la chiesa si occupava anche di far scarcerare i meno agiati per debiti di affitti e di vestire i bisognosi.
Tra le famiglie committenti, ci furono i Mastrillo, i Muscettola, Alfonso Brancaccio, Fabrizio Caracciolo di Brienza, Diomede e Marcantonio Carafa e Antonio Carmignano. Il nome “ad Arco” deriva dalla presenza sul decumano maggiore, nel crocevia con via Nilo e via Atri, di un torrione di epoca romana, la cosiddetta torre d’Arco, aperto ai quattro lati da altrettanti fornici tramite i quali era garantito il passaggio.
La chiesa venne concepita su due livelli: uno superiore, capolavoro del barocco napoletano, e uno inferiore, o ipogeo, che, ancora oggi, è la sede del culto delle anime pezzentelle.
La chiesa superiore è piccola e riccamente decorata con marmi policromi e dipinti preziosi, come la tela di Massimo Stanzione, raffigurante la “Madonna con le anime del Purgatorio”.
In contrapposizione con la sfarzosità del livello superiore, c’è l’ipogeo, spoglio, buio e privo di qualsiasi decorazione, concepito come rappresentazione del passaggio per il Purgatorio prima di raggiungere la grazia divina e la salvezza.
Il culto delle anime pezzentelle (dal verbo latino “petere” cioè “chiedere”) era fortissimo e molto sentito. I fedeli sceglievano un teschio, tra i tanti seppelliti qui, e lo “adottavano”: lo ripulivano e lo ponevano in un altarino, spesso una vera e propria casetta di cartone o di legno, abbellita con santini, rosari, mattonelle da cucina e oggetti preziosi o di uso quotidiano. Tramite riti, offerte e preghiere, quindi, speravano di intercedere per il suo passaggio dal Purgatorio al Paradiso, cercando di salvarlo dalla dannazione eterna. Nel momento in cui l’anima fosse stata redenta, avrebbe esaudito le richieste del suo salvatore, creando così una relazione indissolubile.
Questo culto, non ufficiale e mai riconosciuto, fu inizialmente appoggiato dalla chiesa perchè permetteva di raccogliere offerte cospicue ma, nel 1969, fu ufficialmente vietato perchè etichettato come rito pagano.
La chiusura dell’Ipogeo causò una vera e propria sommossa, tanto da spingere la popolazione a forzare l’entrata e a continuare comunque, indipendentemente, la tradizione. Il terremoto del 1980, però, rese inagibile la chiesa e, di fatto, impraticabile il culto per molto tempo.
La chiesa e l’ipogeo saranno riaperti solo nel 1992 dalla Sovrintendenza per i Beni Artistici e Storici di Napoli e, a tutt’oggi, sono visitabili e aperti al pubblico, insieme al piccolo museo dell’Opera, che conserva oggetti ecclesiastici di varie epoche.
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