All’interno dei palazzi storici di Napoli, spesso troviamo cappelle per il culto privato, dedicate a diversi Santi o alla Madonna.
Una di queste è quella di Palazzo Ruffo di Bagnara, che si erge nel centro storico della città, a Piazza Dante.
La cappella è situata all’interno del complesso monumentale omonimo, costruito nel 1660. La chiesa è un esempio tipico del barocco napoletano e fu costruita esclusivamente per essere un luogo privato di preghiera riservato alla famiglia Ruffo. All’ingresso si trova una scala in piperno e anche l’interno è stato costruito secondo l’architettura barocca; sull’altare maggiore, inoltre, troviamo un dipinto di Francesco Solimena.
Il palazzo Ruffo, precisamente, si trova in Piazza Dante 89 e venne costruito, tra il 1629 e il 1631, per volontà di Giovan Battista De Angelis, noto avvocato e notaio. Morto per un incidente a cavallo, l’edificio venne ereditato dal figlio Antonio, che riuscì a entrare a corte grazie ai servigi che offriva al viceré Manuel de Zuñiga y Fonseca.
Questa amicizia gli permise di essere prima nominato Eletto dal Popolo e poi Regio Consigliere.
Conservò le nomine anche nei due viceregni successivi e, durante la rivolta di Masaniello (1647), il palazzo fu saccheggiato e incendiato, poichè cominciò ad essere odiato e malvisto dal popolo, a causa delle sue decisioni in materia di tasse.
In seguito, nel 1647, la costruzione venne ereditata dai figli di Antonio e venduta al duca di Bagnara, Francesco Ruffo. Quest’ultimo era capitano dell’Armata Navale Gerosolimitana che, durante le sue missioni, aveva messo da parte una buona quantità di preziosi, che decise di investire acquistando e ristrutturando il palazzo.
L’architetto Carlo Fontana, allievo di Bernini, effettuò i primi lavori di restauro nel 1660, occupandosi soprattutto della facciata, che realizzò con un basamento di pietre bugnate sormontato da due piani di ordine ionico e un attico, con mattoni e colonne e cornici in piperno. Il portale, invece, costruito in granito, fu realizzato con un grande arco sorretto da lesene rettangolari bugnate, terminate da capitelli ionici.
Di generazione in generazione, il palazzo arrivò nelle mani di Vincenzo Ruffo che, nel 1842, decise di avviare un nuovo restauro, affidando i lavori all’architetto Vincenzo Salomone, che si occupò di rimodernarlo secondo i gusti barocchi del tempo: all’interno fu inserita una sfarzosa sala da pranzo ricca di cristallo e un altro salone, decorato con un soffitto in stucco e una terrazza coperta, nella quale vennero collocate delle statue allegoriche realizzate da Carlo Finelli, Pietro Tenerani, Pierre-Théodore Bienaimé e Lorenzo Bartolini.
Divenne, poi, proprietà di Giuseppe Gironda, principe di Canneto, e del marchese Basilio Puti che vi fondò una scuola, con l’obiettivo di formare i cosiddetti “puristi”, ovvero i letterati che durante il romanticismo cercavano di diffondere la lingua toscana classica, con il secondario obiettivo di raggiungere un’unità nazionale, perlomeno linguistica.
Il palazzo, infine, venne diviso in più parti e venduto a diversi proprietari.
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