La basilica della Santissima Annunziata Maggiore si trova nei pressi di Forcella, precisamente nel quartiere Pendino.
Come molte chiese napoletane, l’edificio che possiamo osservare oggi è il frutto di diverse demolizioni e ricostruzioni. La prima chiesa venne innalzata in epoca angioina ma, a partire dal 1513, la struttura è stata ricostruita ed ampliata. Nel 1757, però, venne quasi completamente distrutta da un incendio ed i lavori di ristrutturazione furono affidati alle sapienti mani del poliedrico Luigi Vanvitelli. Sebbene l’architetto non sia mai riuscito a completare la sua opera, ed i lavori vennero ultimati da suo figlio Carlo, la basilica della Santissima Annunziata Maggiore è considerata una delle sue opere più sublimi.
Nel 900, la chiesa fu nuovamente rimaneggiata a causa di un bombardamento che ne distrusse buona parte.
L’interno della basilica, costruito su pianta a croce latina a navata unica, è realizzato in stile settecentesco e presenta ben sei cappelle laterali. Solo una di esse, ovvero la cappella Carafa, riuscì a scampare all’incendio del ’57 e conserva ancora, in maniera intatta, marmi ed elementi sepolcrali.
Un altro elemento architettonico degno di nota è la chiesa sotterranea, totalmente indipendente da quella principale, che rendeva possibile la celebrazione delle funzioni anche durante il periodo di restauro della chiesa. Fatta realizzare da Vanvitelli, è un ambiente seminterrato a livello del cortile a pianta circolare, con sei diverse nicchie-altare, nelle quali l’architetto pose a dimora le statue sopravvissute all’incendio.
La basilica, come la vediamo oggi, è solo una parte di un vasto complesso di edifici che vennero costruiti come istituzione assistenziale per la cura dell’infanzia abbandonata, che comprendono un ospedale, un ospizio per i trovatelli ed un conservatorio per tutte quelle ragazze povere che venivano internate per preservare la “virtù” ed alle quali veniva data anche una piccola dote. Questo complesso assistenziale fu voluto dalla moglie di Roberto d’Angiò, Sancha d’Aragona, e fu finanziato da molte ricche famiglie napoletane che permisero il suo funzionamento fino agli inizi del 900.
Su via dell’Annunziata, esattamente sotto lo splendido arco cinquecentesco, è ancora possibile vedere il “buco” dove risiedeva la ruota degli esposti: costituita da un tamburo cilindrico, era il luogo in cui le madri ponevano i loro figli per abbandonarli e lasciarli alla cura delle monache. Facendo ruotare il cilindro i bambini entravano all’interno della basilica, dove venivano accolti ed accuditi. Gli esposti, così venivano chiamati i bambini abbandonati, provenivano da famiglie molto povere che, non potendo mantenerli, li affidavano alle religiose tramite il meccanismo della ruota che garantiva loro l’anonimato. Esattamente fuori questa struttura c’era un puttino con la scritta “O padre e madre che qui ne gettate / Alle vostre limosine siamo raccomandati” che sollecitava i genitori che abbandonavano lì i loro figli a lasciare delle offerte. Spesso i bambini venivano lasciati all’interno della ruota con un simbolo di riconoscimento: una lettera, una moneta oppure una collana, con la speranza di poterli riconoscere in tempi migliori; infatti, questi segni particolari e gli oggetti recapitati con i piccoli venivano segnati all’interno di un grosso libro.
Ai bambini abbandonati, nel momento in cui venivano affidati alle cure delle monache, veniva attribuito un nuovo nome ed è proprio così che nacque l’etimologia del cognome napoletano più comune: “Esposito“, ovvero “messo alla ruota degli esposti”. Fu solo dopo la chiusura, durante il periodo francese, che Gioacchino Murat, considerando quel cognome come un marchio infamante, decise che ad ogni bambino venisse attribuito un nome di fantasia. La ruota fu chiusa ufficialmente durante il 1875 ma, data la povertà delle famiglie napoletane, per molti anni ancora i bambini vennero abbandonati sui gradini di fianco alla chiesa.
Info La chiesa è visitabile dal lunedì al sabato, dalle ore 9.00 alle 18.30, e si trova in via Annunziata 34.
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