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8 Settembre 2023
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8 Settembre 2023Dopo Firenze, Milano e Roma, è il turno di un’altra grande e meravigliosa città italiana, della quale andremo a valutare dieci aspetti caratteristici, in correlazione con altrettanti della nostra Napoli. Si tratta di Torino.
di Silvia Semonella
Dopo Firenze, Milano e Roma, è il turno di un’altra grande e meravigliosa città italiana, della quale andremo a valutare dieci aspetti caratteristici, in correlazione con altrettanti della nostra Napoli.
Si tratta di Torino.
Da sempre centro fondamentale e punto di riferimento per analizzare la storia d’Italia pre e post Unità, è una città dalla storia bimillenaria: fu fondata, probabilmente, come Taurasia, intorno al III secolo a.C., dai Taurini, popolazione ligure dell’Italia settentrionale, e trasformata in colonia romana da Augusto, col nome di Iulia Augusta Taurinorum, nel I secolo a.C.
Successivamente al dominio ostrogoto fu capitale di un importante ducato longobardo, per poi passare, dopo essere divenuta capitale carolingia, sotto la signoria nominale dei Savoia nell’XI secolo. Città del ducato di Savoia, nel 1563, ne divenne capitale. Dal 1720 fu anche capitale del Regno di Sardegna, stato che, nel XIX secolo, avrebbe portato all’unificazione italiana e che fece di Torino la prima capitale del Regno d’Italia (dal 1861 al 1865).
1 – Monastero di Santa Chiara / Chiesa di San Domenico
Il primo raffronto è quello tra due edifici di culto, situati al centro delle due città, di epoca medievale, di cui conservano la struttura scarna ed essenziale; entrambi sono diventati luoghi simbolo dei rispettivi centri storici.
La chiesa di San Domenico è il principale resto archeologico medievale di Torino. Subì molti restauri prima di essere riportata alle sue originarie caratteristiche gotiche. La costruzione è iniziata nel 1227 per poi essere ampliata dopo la seconda metà del secolo. All’interno si possono vedere dei frammenti di affreschi della fine del Trecento.
Ha come caratteristica specifica quella di essere l’unica chiesa medioevale di stile gotico della città sopravvissuta fino ai giorni nostri e, insieme alla chiesa della Consolata, si può considerare uno dei luoghi di culto più antichi della città.
La chiesa di Santa Chiara, invece, è la più grande basilica gotica della città di Napoli, caratterizzata da un monastero che comprende quattro chiostri monumentali, gli scavi archeologici nell’area circostante e diverse altre sale nelle quali è ospitato il Museo dell’Opera, che comprende anche il coro delle monache, con resti di affreschi di Giotto, un grande refettorio, la sacrestia ed altri ambienti.
2 – Stadio San Paolo / Juventus Stadium
Due stadi per due squadre, da sempre acerrime nemiche, che hanno reso la fede calcistica una religione.
L’Allianz Stadium, meglio conosciuto come Juventus Stadium, è un impianto calcistico di Torino, di proprietà della società calcistica Juventus Football Club, sede degli incontri interni della sua prima squadra dalla stagione 2011-2012. È il sesto stadio italiano per capienza, con 41507 spettatori, nonché il primo del Piemonte.
Possiede, inoltre, il primato come prima struttura calcistica italiana priva di barriere architettoniche nonché primo impianto ecocompatibile al mondo; è uno dei quattro stadi italiani (assieme all’Olimpico di Roma, al Giuseppe Meazza di Milano e all’Olimpico Grande Torino) a rientrare nella categoria 4 UEFA, ovvero quella con maggior livello tecnico, e rappresenta il primo impianto moderno di proprietà di un club nel Paese.
Il napoletanissimo stadio San Paolo, invece, battezzato originariamente come Stadio del Sole, si trova nel quartiere Fuorigrotta, è il principale impianto polisportivo della città ed ospita le partite della SSC Napoli.
È il secondo stadio in Italia per capienza effettiva, dopo il Meazza di Milano, e il terzo per capienza omologata dopo lo stesso Meazza e l’Olimpico di Roma.
Allo stadio San Paolo si è tenuta la partita con il maggior numero di spettatori paganti in Italia, esattamente 89.992, in occasione della partita Napoli-Perugia del campionato italiano 1979/80, disputatasi il 21 ottobre 1979. Tuttavia, non si riuscì mai a stabilire il numero di spettatori realmente presenti, che erano molti di più di quelli ufficiali; record italiano tuttora imbattuto. Addirittura, in occasione proprio di Napoli-Juventus del campionato 1976-77, è stato stimato che gli spettatori fossero circa 95.000.
3 – Minestra maritata / Bagna càuda
Più che piatti tipici, sono quasi due riti conviviali veri e propri.
La bagna càuda è una specialità della cucina piemontese, originaria, in particolare, dell’Astesana, delle Langhe, del Roero, del Monferrato, delle aree meridionali della città metropolitana di Torino e delle province di Cuneo, Alessandria e Asti.
Viene servita nel tipico recipiente, il diàn o fojòt (in lingua piemontese), dal quale i commensali attingono tutti insieme. È un piatto tipico del periodo della vendemmia, quindi da consumare prevalentemente in autunno ed in inverno: una delle leggende sulla sua nascita vuole proprio che venisse preparato per ricompensare i vendemmiatori del duro lavoro. La ricetta è a base di aglio, olio extravergine d’oliva ed acciughe dissalate, il tutto ridotto a salsa mediante una paziente cottura. Si consuma intingendovi vari tipi di verdure di stagione solitamente divise tra crude e cotte (specialmente cardi, cipolle cotte al forno, peperoni crudi o abbrustoliti, foglie di cavolo crude, cavolfiore, topinambur, barbabietole, patate cotte a vapore, ravanelli, rape e tante altre). Può essere accompagnata da un vino rosso corposo.
La minestra maritata, invece, è un piatto tipico della cucina campana, preparato soprattutto in occasione del Natale. Il termine “maritata” deriva dal fatto che gli ingredienti di carne e verdura si “maritano”, partecipando insieme alla minestra. La ricetta, nel corso degli anni, è stata molto rimaneggiata, eliminando o modificando ingredienti, che sono sempre più rari da reperire in commercio. Durante le festività tradizionali, tuttavia, nei mercatini rionali di Napoli, ancora si possono acquistare le verdure tipiche previste per la preparazione, che sono cicoria, piccole scarole (scarulelle), verza e borragine (che conferisce una nota amarognola). In qualche variante si usa anche la catalogna (in napoletano: puntarelle). La carne di uso tipico, invece, è quella di maiale di minor pregio, come tracchie, salsicce (tipica era la cosiddetta ‘nnoglia, o salame pezzente) e altri tagli.
Seguendo la tradizione più antica, infine, al posto del pane tostato si possono usare gli scagliuozzi, tipiche frittelle di farina di mais dalla forma arrotondata, che vanno adagiate sul fondo del piatto.
4 – MANN / Museo Egizio
Entrambi sono due poli museali di enorme valore artistico, fiore all’occhiello dell’Italia, che le donano prestigio a livello nazionale e mondiale.
«La strada per Menfi e Tebe passa da Torino» (Jean-François Champollion).
Il Museo Egizio di Torino è il più antico, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante del mondo dopo quello del Cairo.
Nel 2016 il museo ha fatto registrare 852.095 visitatori, risultando il decimo sito museale statale italiano più visitato. Cerchiamo di ripercorrere brevemente la sua storia.
Nel 1759 un appassionato egittologo di Padova, Vitaliano Donati, si recò in Egitto per effettuarvi scavi e ritrovò vari reperti, che furono inviati a Torino. All’inizio dell’800, in seguito alle campagne napoleoniche in Egitto, in Europa scoppiò una vera e propria moda per il collezionismo di antichità egizie. Bernardino Drovetti, piemontese, console generale di Francia,m durante l’occupazione in Egitto, collezionò, in questo periodo, oltre 8000 pezzi tra statue, sarcofaghi, mummie, papiri, amuleti e monili vari. Nel 1824 il re Carlo Felice acquistò questa grande collezione e, unendovi altri reperti di antichità classiche dei Savoia, diede vita al primo Museo Egizio del mondo.
Il museo è dedicato esclusivamente all’arte egizia. Si possono trovare mummie, papiri e tutto ciò che riguarda l’antico Egitto (compresi animali imbalsamati). Nel 2013 il museo è stato inserito dal quotidiano britannico The Times nella classifica dei 50 migliori musei del mondo.
Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN), invece, è tra i più importanti della città. Vanta il più ricco e pregevole patrimonio di opere d’arte e manufatti di interesse archeologico in Italia ed è considerato uno dei più importanti musei archeologici al mondo, se non il più importante per quanto riguarda la storia dell’epoca romana. Anche l’edificio che attualmente ospita il museo ha una certa rilevanza architettonica: è, infatti, uno dei più imponenti palazzi monumentali di Napoli. Sorge, tra l’altro, sull’area di un’antica necropoli della greca Neapolis: quella di Santa Teresa.
Secondo la storia, Ferdinando IV, una volta giunto sul trono e dopo aver espulso nel 1767 i Gesuiti dal Regno di Napoli, spostò definitivamente, nel 1777, l’università dei Regi Studi nel loro ex convento del Salvatore e decise di trasferire nel palazzo sia il “museo Hercolanese“, dalla reggia di Portici, che il “museo Farnesiano“, dalla reggia di Capodimonte, includendo anche la biblioteca e le scuole di Belle Arti.
Il museo partenopeo MANN, invece, è formato da tre sezioni principali: la collezione Farnese (costituita da reperti provenienti da Roma e dintorni), le collezioni pompeiane (con reperti provenienti dall’area vesuviana, facenti parte soprattutto delle collezioni borboniche) e la collezione egizia che, per importanza, si colloca nel mondo al terzo posto dopo quelle del museo egizio del Cairo e del Museo Egizio di Torino, appunto .
Dal 2005, nella sottostante stazione “Museo” della linea metropolitana, è stata aperta la stazione Neapolis, in cui piccoli ambienti che si succedono tra loro espongono i reperti archeologici rinvenuti durante gli scavi della metro ed entrati a far parte del patrimonio museale.
5 – Porta Medina / Porta Palatina
La Porta Palatina era la porta che consentiva l’accesso da settentrione alla Augusta Taurinorum, ovvero la civitas romana oggi nota come Torino. Essa rappresenta la principale testimonianza archeologica dell’epoca romana della città, nonché una delle porte urbiche del I secolo a.C. meglio conservate al mondo.
Insieme all’antico teatro, a poca distanza, è compresa nell’area del Parco Archeologico inaugurato nel 2006.
La nostra Porta Medina, invece, era un’antica porta della città di Napoli, che sorgeva all’inizio di Piazza Montesanto, al termine di via Portamedina.
Nel 1597, durante il viceregno del conte di Olivares Enrique de Guzmán, fu praticata abusivamente un’apertura (in napoletano pertuso) nella murazione, in modo tale da agevolare il passaggio di coloro che provenivano dalla zona collinare che, per entrare in città, dovevano giungere fino alla porta dello Spirito Santo. Nel 1640, durante il regno di Filippo IV, Cosimo Fanzago, incaricato dal viceré duca di Medina, provvide a realizzare la porta, regolarizzando il pertuso aperto. Proprio per questo motivo la struttura, che fu dedicata al viceré, continuò ad essere appellata dal popolo porta Pertuso.
6 – Santa Rosa / Gianduiotto
Il gianduiotto è un cioccolatino tipico del Piemonte, prodotto soprattutto a Torino. Viene ottenuto impastando il cacao e lo zucchero con la famosa nocciola Tonda Gentile del Piemonte, rinomata per la sua qualità; le nocciole, infatti, tostate e macinate, diventano una crema, poichè contengono olio. È stato prodotto per la prima volta dalla società dolciaria torinese Caffarel e presentato al pubblico nel carnevale del 1865 dalla maschera torinese Gianduja, da cui prende il nome, che lo distribuiva per le strade.
La Santa Rosa, invece, è uno dei dolci tipici della tradizione partenopea, dalla forma a conchiglia, con un morbido ripieno, guarnito con crema pasticciera e amarene candite.
Ha origine nel 1600, nel Monastero di Santa Rosa da Lima a Conca dei Marini, in Costiera Amalfitana. La storia vuole che, con della semola cotta nel latte, avanzata dal pranzo, la monaca cuoca abbia deciso di preparare un impasto, aggiungendovi del liquore di limone, frutta secca e zucchero. Un composto a parte fu, poi, arricchito con pane, vino bianco e strutto, lavorato a lungo e sagomato come una sacca a forma di cappuccio di monaca, in cui venne inserito il primo impasto. Sigillato tutto, venne cotto nel forno a legna e, una volta assunta la classica colorazione dorata, il nuovo dolce venne guarnito con un cordone di crema pasticciera e delle amarene candite. Questa prelibatezza mutuò il nome di Santa Rosa dal monastero dove fu preparato per la prima volta.
Per quasi un secolo e mezzo, tuttavia, la ricetta della sfogliatella Santa Rosa rimase custodita entro le mura del monastero di Conca dei Marini. Fu solo nei primi anni del XIX secolo che un pasticciere napoletano, Pasquale Pintauro, riuscì ad ottenere (forse proprio da una zia monaca) la ricetta originale che modificò, eliminando le amarene e la crema pasticciera, creando, quindi, la variante riccia della sfogliatella napoletana.
7 – Palazzo Reale di Napoli / Palazzo Reale di Torino
Il Palazzo Reale di Torino, la prima tra le residenze sabaude del Piemonte, è collocato nel cuore della città, adiacente alla famosissima Piazza Castello. Cuore della corte sabauda e centro del potere della dinastia, è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanita’ dall’UNESCO.
Il Palazzo Reale di Napoli, invece, si trova a Piazza Plebiscito, nel centro storico della città. È stato la residenza storica dei viceré spagnoli per oltre centocinquanta anni, della dinastia borbonica dal 1734 al 1861, interrotta solamente per un decennio, all’inizio del XIX secolo, dal dominio francese con Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat e, a seguito dell’Unità d’Italia, dei Savoia: ceduto nel 1919 da Vittorio Emanuele III di Savoia allo Stato, è adibito principalmente a polo museale, in particolare gli Appartamenti Reali, ed è sede della biblioteca nazionale.
8 – Parco di Capodimonte / Parco del Valentino
«…ricordi quelle sere passate al Valentino, col biondo studentino, che ti stringeva sul cuor…» (Piemontesina bella, canzone popolare torinese).
Situato lungo le rive del Po, il parco del Valentino è il parco pubblico torinese più grande e famoso.
L’origine del nome sembrerebbe risalire ai primi insediamenti romani: sembra che ci fosse un’antichissima cappella titolata a San Valentino, conservante una parte delle reliquie del santo arrivate direttamente da Terni. Non si sa se la cappella, poi, sia caduta in rovina o sia stata distrutta, ma le reliquie furono portate nella vicina chiesetta di San Vito, in collina, al di là del fiume. L’area del Valentino invece, fu dapprima abitata dai nobili Birago, che vi costruirono una villa; quindi, Emanuele Filiberto di Savoia acquistò tutta l’area verso la metà del XVI secolo.
Nel 1630-1660 fu eretto il castello omonimo, un imponente edificio opera di Carlo e Amedeo di Castellamonte, usato come residenza estiva dei Savoia. L’area passò da semplice parco fluviale a struttura, con eleganti e raffinati giardini. Soltanto nel XIX secolo iniziarono i veri lavori di modifica nell’attuale parco cittadino, secondo il progetto romantico del paesaggista francese Barrillet-Dechamps.
Il Real Parco di Capodimonte è il parco per eccellenza della città di Napoli, situato nella zona da cui prende il nome. La costruzione, insieme alla rispettiva Reggia, è cominciata nel 1742 per terminare l’anno successivo, sotto la guida dell’architetto Ferdinando Sanfelice, che progettò una struttura dal forte impatto visivo, di stampo illuminista. Si provvide, inoltre, al restauro di tutte le strutture presenti nel parco, adibite ad abitazioni, chiese, fabbriche e aziende agricole. In seguito, al ritorno di Ferdinando I sul trono del Regno delle Due Sicilie, dopo la breve parentesi del decennio francese, il parco venne aperto due volte l’anno a tutti i cittadini, in concomitanza di festività religiose, per consentire il raggiungimento dell’eremo dei Cappuccini, posto ai confini del bosco. Fortemente danneggiato durante la Seconda Guerra Mondiale, tra il 1966 ed il 1967, è stato, poi, restaurato in occasione dell’inaugurazione del Museo Nazionale di Capodimonte e aperto come parco pubblico.
9 – Biblioteca Nazionale di Napoli / Biblioteca Nazionale di Torino
Le origini della Biblioteca nazionale torinese risalgono al 1720, quando Vittorio Amedeo II di Savoia diede vita alla Regia Biblioteca Universitaria, frutto dell’unione della raccolta libraria dell’ateneo torinese e del fondo ducale sabaudo. Tra i secoli XVIII e XI, alla biblioteca confluirono molti lasciti e acquisizioni, tra cui la preziosissima raccolta, quasi completa, degli spartiti autografi di Antonio Vivaldi, formata da circa 450 documenti appartenuti al musicista.
La Reale Biblioteca Borbonica, ora Biblioteca Vittorio Emanuele III di Napoli, ha sede presso il Palazzo Reale, come anticipato, e ha un patrimonio di 1.480.747 volumi a stampa, 319.187 opuscoli e 18.415 manoscritti, che la rendono la terza tra le biblioteche italiane, dopo le due Nazionali Centrali di Roma e Firenze.
La Biblioteca venne istituita alla fine del XVIII secolo raccogliendo nel Palazzo degli Studi, oggi sede del Museo Archeologico, le raccolte provenienti dalla Farnesiana e dalla Palatina, fino a quel momento conservate nella Reggia di Capodimonte. Si aggiunsero, poi, i fondi provenienti dalla biblioteca dei Gesuiti, espulsi, come detto, dal Regno di Napoli nel 1767, e dalla biblioteca della Reale Accademia, seguiti dai volumi della biblioteca cartesiana del principe di Tarsia. Per incrementare il patrimonio librario fu stabilito che gli stampatori del Regno dovessero consegnare alla biblioteca una copia per ogni pubblicazione messa in commercio. Agli inizi dell’Ottocento furono incorporate le raccolte librarie dei monasteri soppressi della certosa di San Martino, del monastero benedettino dei Santi Severino e Sossio e di San Giovanni a Carbonara.
10 – Università Federico II / Politecnico di Torino
Il Regio Politecnico di Torino nacque nel 1906 e la prima sede fu il castello del Valentino. All’inizio del XX secolo, si occupò di diverse aree disciplinari, entrando in relazione sia con il mondo scientifico europeo che con l’industria dell’area torinese e italiana. Nacquero l’istituto di aeronautica e vari nuovi laboratori. È specializzato per i corsi di ingegneria ed architettura, con 22 corsi di Laurea di I livello (3 in Architettura, 19 in Ingegneria) e 29 corsi di Laurea di II livello (6 in Architettura, 23 in Ingegneria).
L’Università Federico II, invece, è la principale accademia napoletana ed una delle più importanti in Italia e in Europa. Tra le più antiche università europee, nata il 5 Giugno 1224, è celebre anche per essere stata tra le prime ad essere fondata attraverso un provvedimento statale.
L’erezione dello Studium venne decretata dall’imperatore Federico II di Svevia tramite una lettera circolare inviata da Siracusa. Due furono i motivi principali che spinsero l’imperatore all’edificazione: in primo luogo, la formazione esclusiva del personale amministrativo e burocratico della classe dirigente del Regno e, quindi, la preparazione dei giuristi che avrebbero aiutato il sovrano nella definizione dell’ordinamento statale e nell’esecuzione delle leggi; in secondo luogo, agevolare i propri sudditi nella formazione culturale, evitando loro inutili e costosi viaggi all’estero. La scelta della sede cadde su Napoli per motivi culturali (la città aveva una lunga tradizione in merito, legata alla figura di Virgilio), ma anche geografici ed economici (i traffici via mare, il clima mite e la posizione strategica all’interno del Regno). Per l’organizzazione dello Studium ci si avvalse dell’opera di due eccellenti giuristi campani: Pier delle Vigne e Taddeo da Sessa.