Un famoso proverbio recita "paese che vai, usanza che trovi": nel caso del Bel Paese, potremmo modificarlo in "regione che vai, usanza che trovi", soprattutto per quanto riguarda le tradizioni natalizie.
A Napoli, il Natale è una festa molto sentita, da passare tipicamente in famiglia che, tra una tombolata e una partita a carte, si riunisce al completo, specie intorno alla tavola imbandita, fondamentale per ogni napoletano che si rispetti.
Ma quali sono le tradizioni napoletane che si tramandano di generazione in generazione?
Innanzitutto, la mattina di Natale non può mai mancare, nonostante il traffico e la folla, una passeggiata nel cuore del centro storico, soprattutto a San Gregorio Armeno.
Il pomeriggio, invece, solitamente, è dedicato al giro di auguri ai parenti.
I giorni dalla Vigilia in poi, inoltre, sono riservati ad allegre tombolate casalinghe e a giochi di carte famosissimi a Napoli, come il “Sette e mezzo”: un'occasione per stare insieme, bevendo e mangiando.
Negli ultimi anni, in alternativa alla tombola, si è diffuso anche il gioco del Sinco: si distribuiscono le cartelle ma, al posto dei numeri, sono presenti i simboli delle carte napoletane. Scopo è realizzare una o più delle cinque combinazioni a disposizione e conquistare le somme raccolte in alcuni bicchieri, che sono i corrispettivi dei più classici "ambo, terna, quaterna" ecc.
Il cibo è il protagonista fondamentale del Natale partenopeo: tantissimi sono i piatti tipici che arricchiscono la tavola.
La regina del pranzo del 24 è la pizza ripiena di scarola, che funge da piatto unico, in preparazione al cenone; il menù della sera, infatti, sostanzialmente è a base di pesce e frutti di mare: “per la Vigilia de lo Santo Natale ce vonno vruoccoli zuffritti co l’alice salate, vermicelli co la mollica de pane e vongolelle, o pure zuffritti co l’alice salate, anguille fritte, ragoste vullute co la sauza de zuco de limone, e uoglio e pure na cassuola de calamarielli”, diceva il grande gastronomo napoletano Ippolito Cavalcanti.
Ed ecco che, da qui, nasce la tradizione della “nuttata”: le pescherie, nella notte tra il 23 e il 24 dicembre, restano aperte per permettere a tutti di acquistare il pesce per il cenone.
Il primo piatto è costituito, generalmente, da spaghetti con le vongole, mentre il secondo da baccalà fritto e capitone (sempre fritto o alla brace). Immancabile, è l’insalata di rinforzo, che raccoglie diverse verdure, olive verdi e nere e alici salate, in un composto di olio e aceto.
Il pranzo di Natale, invece, prevede la fenomenale minestra maritata e la pasta con ragù e ricotta.
La minestra prende questo curioso nome perchè le verdure miste vengono bollite e aggiunte al "consorte", cioè un misto di carne, che arricchisce il brodo. Si tratta di un piatto molto ricco composto da: carota, cipolla, sedano, pepe in grani, una gallina intera, due piedi di maiale, un pezzo di coperta di costato di manzo, un osso di prosciutto, due cotenne di prosciutto, due scorze di parmigiano, salame, un pezzo di salsiccia e puntine di maiale (tracchie). Il tutto viene messo in un pentolone che bolle dalla sera prima e che viene accuratamente schiumato, togliendo l’eccesso di grasso. A fine cottura, si estrae la carne e si filtra il brodo; le verdure, che bollono in un altro pentolone per metà cottura (3/4 minuti), si scolano e si aggiungono per finire di essere cotte nel brodo filtrato di carne. Il composto deve riposare almeno un’ora abbondante nella pentola. La carne, ormai snervata dopo la lunga cottura, si sfilaccia, si taglia a pezzettini e si mischia alla verdura in un piatto fondo e si serve con una grattata di parmigiano.
I dolci sono un must: roccocò, mustacciuoli, susamielli, raffaioli (raffiuoli) e gli immancabili struffoli, da fare in quantità e regalare a parenti e amici.
Si può dire, quindi, che tutta la filosofia dei napoletani, anche e soprattutto relativamente alle feste natalizie, sia racchiusa nel proverbio: “meglio murì sazio che campà djuno!”.
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