“Vuoi tu sapere se qualche scintilla brucia in te? Corri, vola a Napoli ad ascoltare i capolavori di Leo, Durante, Jommelli, Pergolesi”.
Jean-Jacques Rousseau, Dictionnaire de Musique.
È il 1737 quando a Napoli nasce il teatro d’opera più antico del mondo, anticipando di 41 anni la Scala di Milano e di 55 la Fenice di Venezia.
Stiamo parlando, ovviamente, del Teatro San Carlo, costruito accanto a Piazza Plebiscito e diventato il simbolo della metropoli; voluto dal re Carlo III di Borbone, il suo scopo era quello di dare alla città un nuovo teatro che rappresentasse il potere regio.
Il progetto fu affidato all'architetto Giovanni Antonio Medrano, Colonnello Brigadiere spagnolo di stanza a Napoli, e ad Angelo Carasale, già direttore del San Bartolomeo, il quale completò la “real fabrica” in circa otto mesi con una spesa di 75 mila ducati. Il disegno di Medrano prevedeva una sala lunga 28,6 metri e larga 22 e mezzo, con 184 palchi, compresi quelli di proscenio, disposti in sei ordini, più un palco reale capace di ospitare dieci persone, per un totale di 1379 posti.
Nei primi quattro anni di attività, gli autori più rappresentati furono Leonardo Leo, Niccolò Porpora, Leonardo Vinci, Domenico Sarro, Johann Adolf Hasse “il Sassone”, Gaetano Latilla, Niccolò Jommelli, Baldassarre Galuppi, Niccolò Piccinni, Antonio Maria Gaspare Sacchini, Tommaso Traetta e, infine, Giacomo Tritto.
Tra gli artisti più acclamati, invece, ci furono Vittoria Tesi, presente fin dall'inaugurazione, Angelo Amorevoli, Anna Lucia De Amicis, Celeste Coltellini ma anche gli “evirati cantori”, come Carlo Broschi, in arte Farinelli. Napoli incoronò beniamino del pubblico il Caffariello (Gaetano Majorano), pupillo di Porpora, uno dei castrati più famosi del suo tempo, accanto a Gizziello (Gioacchino Conti) e Gian Battista Velluti.
I quattro conservatori della città (San Pietro a Majella, Santa Maria di Loreto in zona Mercato, Sant’Onofrio a Capuana presso la Vicaria e quello della Pietà dei Turchini a Via Medina), inoltre, durante questo periodo, fornirono continua linfa vitale e nutrimento artistico al teatro, andando a formare quella che viene ricordata con il nome di Scuola Napoletana. Incommensurabili maestri di questa realtà furono Domenico Cimarosa e Giovanni Paisiello a cui, nel 1787, venne dato il compito di “sovrintendere all'Orchestra del San Carlo”, procedendo ad una radicale riforma. Nello stesso anno, su commissione di Ferdinando IV, scrisse l'”Inno Nazionale delle Due Sicilie”.
Il 1799 fu un anno indimenticabile per la storia di Napoli: quello della Repubblica Napoletana.
Pochi mesi di fervore giacobino in cui donne e uomini, dal palco del San Carlo, ribattezzato Teatro Nazionale di San Carlo, si fecero promotori di ideali di libertà, fraternità e uguaglianza. Soltanto pochi mesi più tardi la parentesi libertaria sarà soffocata nel sangue e i Borbone torneranno sul trono, non potendo, però, impedire ad intellettuali, come Eleonora Pimentel Fonseca, Luisa Sanfelice, Domenico Cirillo, Francesco Caracciolo, Melchiorre Delfico e lo stesso Cimarosa, di lasciare un'impronta indelebile nel faticoso processo di costruzione dell'identità italiana.
All’inizio dell’Ottocento, Napoli splendeva tra le città d’Europa, con quasi mezzo milione di abitanti e il flusso dei visitatori portati dalla moda del Grand Tour. Con l'ascesa al trono di Murat, nel 1808, e la gestione di Domenico Barbaja, dal luglio del 1809, si aprì un nuovo capitolo nella storia del Teatro San Carlo. Con il “Principe degli impresari” si inaugurò il tempo delle grandi stagioni dirette da Rossini e Donizetti e il “Real Teatro” diventò anche teatro del Popolo.
La ristrutturazione dell'edificio risale a quegli anni, ad opera di Antonio Niccolini, che ne fece il vero simbolo della città. Nella notte del 13 febbraio del 1816, però, un incendio devastò l'intera struttura. Rimasero intatti soltanto i muri perimetrali e il corpo aggiunto. La ricostruzione, compiuta nell’arco di nove mesi, fu sempre affidata ad Antonio Niccolini, che ripropose, a grandi linee, la sala del 1812.
Il 4 ottobre del 1815 un compositore di 23 anni, Gioacchino Rossini, firmò la sua prima opera al San Carlo, "Elisabetta Regina d'Inghilterra", con un cast stellare. “Furore!” scrisse il musicista all'indomani del debutto partenopeo, per la gioia di essere in cartellone nel “teatro dei grandi”. Da allora, la scena del San Carlo si riempì di opere rossiniane come "Armida", "Mosè in Egitto", "Ricciardo", "Zoraide" e ancora "Ermione", "La Gazza Ladra", "Zelmira".
A comporre 17 opere per il San Carlo fu, invece, il compositore bergamasco Gaetano Donizetti; tra queste "Maria Stuarda", "Roberto Devereux" e l'immortale "Lucia di Lammermoor", in scena per la prima volta proprio al San Carlo il 26 settembre 1835.
Lo scrittore Stendhal, all'inaugurazione del 12 gennaio 1817, neanche un anno dopo l'incendio che aveva devastato il Teatro, scrisse: “Non c'è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro ma ne dia la più pallida idea. Questa sala, ricostruita in trecento giorni, è un colpo di Stato. Essa garantisce al re, meglio della legge più perfetta, il favore popolare... Chi volesse farsi lapidare, non avrebbe che da trovarvi un difetto. Appena parlate di Ferdinando, vi dicono: 'ha ricostruito il San Carlo!'”.
La sera della grande riapertura andò in scena “Il sogno di Partenope” di Giovanni Simone Mayr, seguita da un ballo creato da Salvatore Viganò. A creare l’immagine della ballerina romantica contribuirono l'austriaca Fanny Elssler, la “svedese” Maria Taglioni e la napoletana Fanny Cerrito, una delle prime donne coreografe, le cui le cui scarpette sono religiosamente custodite nel Museo dell'Opéra di Parigi.
Tanti grandi artisti hanno calcato le scene del Teatro, come Niccolò Paganini che, nel 1819, vi tenne ben due concerti. Un palcoscenico prestigioso quello partenopeo, di cui si innamorò anche Vincenzo Bellini che, nel 1826, debuttò con "Bianca e Gernando", opera prima scritta proprio per il San Carlo.
Durante il regno di Ferdinando, la morsa della censura divenne sempre più stretta: dopo il cambio titolo dell'opera del Bellini "Bianca e Fernando" in "Bianca e Gernando", infatti, vi furono altre censure che riguardarono Giuseppe Verdi. Fu, ad esempio, proibita la messa in scena di due importanti opere verdiane, quali "Il trovatore" nel 1853 ed "Un ballo in maschera" (con il nome di "Una vendetta in domino").
Con l'Unità d'Italia avvenuta nel 1861, l'attività del San Carlo calò considerevolmente a discapito di altri teatri, su tutti il milanese Teatro alla Scala.
Durante le due guerre mondiali, l’attività del teatro, seppur segnato dagli eventi bellicosi, risentì delle tendenze che impazzavano sulla scena internazionale. Dopo la seconda guerra mondiale, il teatro fu il primo in Italia a riaprire.
Tra i cantanti che andarono in scena al San Carlo, nell'ultimo secolo, si ricordano i tenori Fernando De Lucia, Beniamino Gigli, Ferruccio Tagliavini, Luciano Pavarotti, Placido Domingo, Josè Carreras, Enrico Caruso (che proprio al San Carlo tenne la sua ultima discussa esibizione napoletana), Giuseppe Di Stefano, Alfredo Kraus, i soprani Renata Tebaldi, Maria Callas, Magda Olivero, Maria Caniglia e Toti Dal Monte.
Tra i musicisti che si sono esibiti al San Carlo vi sono: Jascha Heifetz, Fritz Kreisler, Arturo Benedetti Michelangeli, Maurizio Pollini, Salvatore Accardo, Gidon Kremer, Aldo Ciccolini, Mischa Maisky, Arthur Rubinstein e molti altri.
Tra i direttori d'orchestra invece figurano: Arturo Toscanini, Igor' Fëdorovič Stravinskij, Leonard Bernstein, Wolfgang Sawallisch, Dimitri Mitropoulos, Riccardo Muti, Claudio Abbado, Ferruccio Busoni, Giuseppe Sinopoli, Carlo Maria Giulini, Sergiu Celibidache, Wilhelm Furtwängler, Karl Böhm e diversi altri.
«Finalmente un vero palco reale, più bello certamente di quello del Covent Garden»
Margaret d'Inghilterra, in una visita al Teatro in occasione del 250º anniversario dalla fondazione.
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