Uno dei luoghi napoletani più affascinanti e misteriosi è sicuramente il Cimitero delle Fontanelle.
Si tratta di una vera e propria necropoli che estende i suoi cunicoli labirintici proprio sotto il Rione Sanità. Sembra incredibile come uno dei luoghi più colorati, rumorosi e pieni di vita di tutta la metropoli nasconda, sotto il suo piano di calpestio, una realtà così macabra ed incredibile.
Tra i lunghi cunicoli del cimitero ci si può render conto di quanto antico e profondo sia il rapporto dei napoletani con il mondo dell’aldilà e, allo stesso tempo, di quanto sia contraddittoria, ma indissolubile, la relazione tra sacro e profano per questo popolo.
Per arrivare all’ingresso del cimitero bisogna percorrere Via Fontanelle, una splendida viuzza nel cuore del rione che ha lo stesso toponimo dell’ossario a causa delle numerose sorgenti che sgorgavano dalle circostanti colline. Lungo questa via, tappa imperdibile è certamente la chiesa dell’Immacolata alle Fontanelle, uno splendido edificio realizzato in stile neoclassico che merita davvero una visita. Una volta percorsa la strada, assaporando le meraviglie del quartiere, si può accedere al cimitero e, come per magia, si viene catapultati in un mondo “del sottosopra”.
La necropoli si trova in una zona che, già molto tempo prima della sua costruzione, nell’età della città greco-romana, era adibita alla sepoltura: infatti, in quest’area, sono state rinvenute tombe risalenti al II-III secolo.
Il cimitero è una galleria tufacea scavata nella collina dei Vergini: venne realizzata come luogo di sepoltura durante il XVII secolo, in un momento storico in cui, a causa di epidemie, eruzioni, terremoti e carestie, il tasso di mortalità era altissimo e mancavano i luoghi dove inumare i cadaveri. Lungo i cunicoli del cimitero, numerosi sono gli scheletri ordinatamente ammassati, moltissimi dei quali sono stati accatastati in questa labirintica cava durante l’epidemia di peste del 1656 ed in quella di colera del 1837; tanti altri sono, invece, i corpi che vennero ritrovati nella risistemazione di diverse strade di Napoli, come via Acton o via Toledo.
Nella cava, oggi, si contano “solo” 40000 resti ma si racconta che, al di sotto del piano di calpestio, ci sia un grande strato dove sarebbero ammassati altri corpi. Il cimitero, come lo vediamo adesso, deriva dalla sistemazione del 1872 per mano del canonico Don Gabriele Barbati, il quale rilevò il luogo dal precedente stato di abbandono mettendo in ordine le varie ossa con l’aiuto di alcune donne del quartiere. La risistemazione portò alla divisione delle “anime” in tre navate, ovvero in tre cunicoli di forma trapezoidale lunghi un centinaio di metri. La prima di queste, quella di destra, è denominata navata dei preti, perché ospita tutte le salme provenienti dalle chiese. Quella centrale, che raccoglie, invece, tutti i resti di coloro che morirono nell’epidemia di peste, è denominata, appunto, navata degli appestati. Infine, nella navata di sinistra, detta dei pezzentelli, venivano raccolti tutti i corpi di coloro che, essendo troppo poveri, non potevano permettersi una degna sepoltura. Lungo il cimitero venne, inoltre, costruita una piccola cappella, dedicata a Maria Santissima del Carmine, nella quale venivano svolte diverse funzioni.
Le navate, però, non sono l'unico modo in cui è possibile suddividere i 3000 metri quadrati su cui si estende il cimitero: esistono, infatti, tre aree principali. La prima è quella del tribunale, in cui troviamo tre croci: si dice che qui i guappi della sanità, precursori della odierna camorra, si riunissero e facessero i giuramenti di sangue. Una seconda zona è quella dell’ossoteca, posta lungo la seconda navata, costituita da una cappella decorata con cataste di fibie e femori e che vede al suo centro una statua del Cristo risorto. L’ultima area dell’ossario è quella definita “scolatoio”, ovvero il luogo in cui i cadaveri venivano appesi e messi, appunto, a scolare dai liquidi.
Durante il periodo di risistemazione si propagò nel popolo partenopeo quello che si definisce il culto delle anime pezzentelle, il quale, sebbene originatosi in epoca cristiana, sembra fosse una pratica devozionale del tutto pagana. Il rito, infatti, consisteva nell’adottare, in cambio di una grazia, una “capuzzella”, ovvero un teschio, per badargli attraverso un rituale preciso: innanzitutto si sceglieva e lucidava; poi, dopo averlo adornato con rosari, lumini e merletti, veniva adagiato su di un fazzoletto od un cuscino; a questo punto, l’anima del morto doveva apparire in sogno all’adottante, chiedendogli cure ed attenzioni in cambio della realizzazione di una grazia. Se questa veniva esaudita, l’adottante provvedeva a dare al teschio una sepoltura più degna, in una teca o in una scatola (mai in una lapide, si pensava che non permettesse ai morti di comparire in sogno ai fedeli); se, invece, la grazia non veniva accordata dall’anima del purgatorio, il fedele abbandonava il teschio e ne adottava un altro.
L’incontro tra gli adottanti e le anime del purgatorio, quindi, avveniva nei sogni ed è proprio qui che quelli che nel mondo reale erano solo teschi, ottenevano una personificazione: da queste apparizioni sono, infatti, nate delle vere e proprie “capuzzelle” celebri. Tra le più famose ricordiamo quella del Capitano, venerato poiché anima del Capo che il popolo partenopeo non ha mai avuto, quella di Fratello Pasquale che, in sogno, suggeriva i numeri del lotto, e quella di Concetta, al quale si rivolgevano le donne che volevano trovare marito. Questo teschio è quello più lucido dell’ossario e la leggenda dice che “sudi”, dato che su di esso di ritrova spesso una patina d’acqua: naturalmente, scientificamente, ciò è dovuto all’umidità che il teschio assorbe.
Fu proprio a causa del propagarsi del "quasi pagano" rito delle anime pezzentelle che, nel 1969, il cardinale Corrado Ursi, preoccupato per i segnali di feticismo legati a questa pratica, fece chiudere il Cimitero. In seguito a questa decisione, sebbene il culto fosse estremamente radicato nelle tradizioni dei napoletani, con il passaggio generazionale la devozione alle “capuzzelle” andò via via scemando ed il cimitero cadde in una condizione di abbandono. Venne, però, riordinato nel 2002 e riaperto al pubblico nel 2010 .
Un’altra leggenda, nata tra i cunicoli del cimitero è quella dello gnocco. Questa riguarda le uniche due salme non anonime dell’ossario, che vennero rinvenute in delle bare. I due corpi appartengono ai due coniugi Carafa: la moglie, Donna Margherita Petrucci, ha il corpo mummificato e la bocca spalancata. Da quest'evidenza è nato il mito secondo cui la donna sarebbe morta affogandosi con uno gnocco.
Questo mistico luogo, simbolo del folklore napoletano e manifesto del rapporto dei partenopei con l’onirico ed il soprannaturale, è un “must” nell’itinerario della città di Napoli.
Info Orari di apertura: Tutti i giorni: 9.00-16.00; Visite guidate gratuite di domenica alle ore 10:30; Per visite guidate private: 70 € da 1 a 5 persone, 80€ da 6 a 10, +6 € dall’undicesima persona; Indirizzo: Via Fontanelle, 80 Tel: 081 19703197 | 081 795 6160 | 338 965 22 88
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