Ufficialmente, inizia il 17 Gennaio, nel giorno di Sant’Antonio Abate, e, inizialmente, era una festa riservata alle contesse e ai principi, ai nobili e all’aristocrazia partenopea: si tratta del Carnevale Napoletano, festa molto sentita già nel XVII secolo; proprio durante questo periodo, infatti, sono nate le maschere popolari tipiche partenopee che sono entrate a far parte della storia.
Il primo da menzionare, per importanza e popolarità, è sicuramente Pulcinella. La maschera, come la conosciamo oggi, è stata inventata ufficialmente a Napoli dall'attore Silvio Fiorillo nella seconda metà del Cinquecento, ma il suo costume moderno fu inventato nell'Ottocento da Antonio Petito. Infatti, in origine, la maschera di Fiorillo indossava un cappello bicorno (diverso da quello attuale "a pan di zucchero") e portava barba e baffi.
Le ipotesi, in realtà, sono varie: c'è chi lo fa discendere da “Pulcinello” un piccolo pulcino, perché ha il naso adunco; chi sostiene che impersoni un contadino di Acerra, Puccio d'Aniello, che nel '600 si unì come buffone ad una compagnia di girovaghi di passaggio nel suo paese; altri ancora vanno più indietro nel tempo, fino al IV secolo a.C., sostenendo che Pulcinella discenda da Maccus, personaggio delle Atellane romane (antiche commedie). Maccus rappresentava una tipologia di servo dal naso lungo e dalla faccia bitorzoluta con guance grosse e ventre prominente, vestito di una camicia larga e bianca.
Infine, altri ancora fanno risalire la maschera ad un altro personaggio delle Fabulae Atellanae: Kikirrus, una maschera teriomorfa (dall'aspetto animale) il cui stesso nome, infatti, richiama il verso del gallo.
Pulcinella ha incarnato e continua a impersonare, soprattutto all’estero, lo stereotipo napoletano, il personaggio che, cosciente dei problemi in cui si trova, riesce sempre ad uscirne con un sorriso, prendendosi gioco dei potenti pubblicamente, svelando al popolo tutti i loro retroscena.
Nel XVII era celebre la maschera popolare dello Spagnolo, ovvero il "Capitano spagnolo".
La sua caratteristica era l'abbigliamento, composto da: una mantelletta, un cappello piumato, merletti sulle scarpe e una spada.
Lo Spagnolo, secondo le descrizioni dell’epoca, se ne andava in giro con un corteo di Pulcinelli smascherati che lo guidavano per le vie del centro; questi, con i loro tamburelli festosi, richiamavano l’attenzione popolare e, una volta disposti in cerchio, invitavano lo Spagnolo a ballare la tarantella.
Nella seconda metà del XIX secolo troviamo, invece, la maschera del Medico, detto anche “Ciarlatano del Molo”, un dottore sui generis che si vantava di essere il migliore nel suo campo, proponendo cure e rimedi alquanto particolari.
Più simile ad un clown che ad un medico, portava una lunga tonaca verde con ritagli in argento, una parrucca di carta bianca e rossa con codini lunghi fino ai piedi e grossi occhiali pendenti sul volto.
Molto simile a questa era la maschera del Cavadenti, detto anche Cacciamole, che era vestito con un vecchio frac e un cappello a tre punte, il tutto completato da occhialoni appoggiati sul naso. Andava in giro su un carretto, dove accoglieva i suoi assistiti (suoi complici) che, dopo un’attenta analisi, operava cavando i denti con una grossa tenaglia.
Insieme ai dottori, molto diffusa era anche la maschera di Don Nicola, questa volta un avvocato, inscenato sempre da attori improvvisati o popolani. Vestito secondo la moda settecentesca, era sempre preceduto dal suo servitore e se ne andava in giro a declamare versi, filastrocche e onoranze funebri.
Sempre un uomo di legge, anche se alquanto imbranato, era Paglietta Calabrese.
Durante il Carnevale (tant'è che, ancora oggi, si dice "ogni scherzo vale") era permesso sfottere i propri rivali o persone di altri ceti e gruppi culturali; in questo caso, ad esempio, si deridevano gli studenti calabresi che frequentavano l’Università di Legge a Napoli.
Sicuramente, una delle maschere più napulegne, insieme a Pulcinella, è Giangurgolo che appare già nel 1618 come personaggio della Commedia dell’Arte e che si distingue per il suo gusto delle oscenità.
Il suo nome è composto da Gian-Gianni e da gurgolo-gorgo, rimando alla voracità e alla fama da donnaiolo; è vestito come una specie di Capitano dell’esercito spagnolo: munito di spada, cappello a punta, tipico calabrese, e di una maschera rossa, va in giro da gradasso, salendo nelle carrozze delle dame, vantandosi del suo attributo sessuale e decantando versi proibiti. Il suo parlare è un calabrese napoletanizzato (per ironizzare sui calabresi dell’epoca).
Altra maschera ottocentesca molto famosa, ma non legata esclusivamente al Carnevale, era quella di Pascalotto . La sua caratteristica principale era l’agilità ginnica con cui si divertiva a lanciare e riprendere il suo lungo bastone in aria, oltre alla sua ambiguità sessuale: era l’ermafrodito per eccellenza; vestito da donna, dal seno prosperoso e volto ben truccato, se ne andava a spasso con il suo tamburello, divertendo la gente, cantando e ballando per la città.
Da ricordare, sicuramente, perchè anch’esse tipicamente napoletane, sono le maschere di Razzullo, uomo del popolo costretto ad arrangiarsi e a vivere di espedienti, e Sarchiapone. Per capire l’importanza che hanno avuto queste maschere nella tradizione napoletana, basti pensare che il termine “sarchiapone” è entrato anche nell’uso comune, quando si vuole alludere a una persona di peso non proprio leggero…
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