In questo articolo ci teniamo a parlarvi di uno dei tanti monumenti della storia partenopea per troppo tempo abbandonati ad una colpevole incuria: il colombarium di via Pigna a Napoli.
La struttura si trova a meno di 10 minuti d’auto dall’Università degli Studi Federico II, al limite tra i quartieri di Soccavo e Arenella. Si tratta di un colombarium romano di datazione piuttosto incerta (tra I sec a.C. e I d.C.); attualmente sono visibili venti nicchie disposte in due file ed un’esedra sulla sinistra. Il nome deriva dal fatto che in origine si riteneva fossero strutture per l’allevamento di piccioni e colombi. In realtà, le nicchie servivano ad ospitavano le urne con le ceneri dei defunti, era in pratica un cimitero dell’epoca. Questo rituale funerario era ampiamente predominante nelle comunità pagane e gli stessi imperatori venivano incinerati; l’operazione avveniva in apposite strutture dette ustrina (dal latino ustus, bruciato, da cui il verbo strinare). A differenza del popolo, però, i resti dei personaggi importanti erano custoditi in tombe private di grande pregio dette mausolei (dunque la definizione di mausoleo di via Pigna non è appropriata). L’edificio funerario era costruito a ridosso di un borgo romano, nelle vicinanze di alcune cave di tufo; in effetti Soccavo deriva dal latino sub cava, ossia che sta sotto la cava. Esso fu realizzato utilizzando il materiale estratto dalla cava stessa e presenta un paramento murario in opus reticulatum.
Sono ben lontani i tempi in cui il pittore Giuseppe Casciaro (1886) lo ritrae costeggiato da un’amena quanto deserta strada carrozzabile. Dopo aver resistito ad alluvioni e terremoti, i ruderi negli anni ’80 furono devastati a causa dell’allargamento dell’assa stradale; in seguito un cassonetto dell’immondizia era stato collocato giusto davanti ai ruderi e i rifiuti eccedenti venivano collocati nelle millenarie nicchie. Infine la struttura, che sembra ormai destinata a soccombere, è stata puntellata con una struttura che ci auguriamo sia provvisoria. Se la costruzione dovesse cedere, sarebbe veramente un marchio di infamia sia per le autorità preposte alla tutela dei beni storici che per tutti i cittadini partenopei.
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